Inizia questa nuova rubrica sulle storie dei campioni NBA. Oggi vi raccontiamo Allen Iverson, l’uomo che ha cambiato la cultura del basket

Generation Sport da oggi inaugura NBA Tales, una rubrica sulle storie dei protagonisti del basket. Ci sarà una storia legata ad ognuna delle 30 franchigie NBA più 10 racconti “fuori categoria” per colmare il vuoto causato dal Covid-19. Partiamo da una delle figure più iconiche del basket oltreoceano, un uomo che ha rivoluzionato la figura del cestista NBA e la cultura hip-hop: Allen Iverson.

Quando si nomina AI vengono in mente 4 cose: il talento mostruoso, il suo rapporto con Philadelphia, il suo carattere burrascoso e l’impatto visivo sulla cultura moderna. Iverson è stato, proprio come il suo soprannome The Answer, la risposta alla modernità per l’NBA. Il numero 3 è stato il primo ad introdurre un tipo di vestiario più casual e personale rispetto ad un mondo televisivo più impettito e preciso. È stato un rivoluzionario che ha raccolto l’amore del popolo e soprattutto l’affetto di una città difficile come Philadelphia. Tuttavia il percorso di Iverson non è stato certo dei più rosei ed ha dovuto affrontare prove che avrebbero ammazzato chiunque.

L’immagine di Allen Iverson

Adolescenza tra fasti e cadute

Allen Iverson nasce da una giovane madre ad Hampton in Virginia ed è già un ragazzo ribelle. Il giovane Allen si iscrive alla Bethel High School dove gioca contemporaneamente a football e basket. In un intervista lo stesso Iverson dichiara come fosse poco convinto di giocare a basket e che sia stato merito della madre se è diventato uno dei migliori giocatori della lega. Durante l’ultimo anno il ragazzo si fa notare e molti college vogliono assicurarsi una delle future stelle del panorama cestistico. Tuttavia arriva la sera del 14 febbraio 1993 e la vita di Allen cambia radicalmente. Quella notte infatti AI viene arrestato per una rissa in una sala da bowling e accusato di aver colpito una donna con una sedia alla testa.

Iverson fu condannato a 15 anni di carcere ma dopo 4 mesi gli fu concessa la grazia dal Governatore della Virginia per insufficienza di prove. Allen decise allora di riprendere da dove aveva lasciato tutto: dal basket. Lo scenario di 5 mesi prima però non esisteva più, nessun college voleva un personaggio così difficile nonostante il grande talento. Solo un’università si fece avanti, grazie anche all’aiuto della madre di Iverson, ovvero Georgetown e il suo allenatore John Thompson. Subito nacque una grandissima amicizia e rispetto reciproco tanto che Thompson verrà chiamato da The Answer “il miglior allenatore possibile”. AI si attesta come uno dei migliori giocatori della NCAA nei due anni agli Hoyas e così nel 1996 si rende eleggibile per il Draft NBA.

L’arrivo sognato in NBA

Il video della scelta al Draft 96

Neanche a dirlo Allen Iverson viene scelto per primo dai Philadelphia 76ers, vincitori della Lottery. Si tratta del primo playmaker ad essere scelto alla N 1 dopo Magic Johnson. Molti media hanno grosse perplessità sul ragazzo perché basso, magrolino, dal carattere difficile ed esuberante, “un delinquente non adatto alla fisicità dell’NBA”. La stagione 96-97 inizia e AI fa capire a tutti il suo potenziale. Iconico il crossover a Micheal Jordan nella gara contro i Chicago Bulls nel suo primo anno da rookie. Un’istantanea che fa capire la forza e soprattutto la personalità di un ragazzo che vuole diventare il migliore. Iverson mette tutto se stesso in campo, gettando il cuore sul parquet dal primo all’ultimo minuto. Al termine della stagione Allen Iverson vince il primo di Rookie of the Year.

L’arrivo di Larry Brown

Tra Philadelphia e Allen ne nasce un amore viscerale proprio perché il giocatore incarna lo spirito della città. Un giocatore duro e ribelle come la città raccontata da Stallone in Rocky. Dal 1997 ai Sixers arriva coach Larry Brown che insieme alla dirigenza inizia a costruire una squadra competitiva intorno alla stella. Brown era considerato un allenatore molto duro e difficilmente compatibile con la libertà di Iverson ma i due vanno stranamente a braccetto, nonostante qualche scontro. Brown capì il potenziale di AI e decise di spostarlo a guardia tiratrice, mossa fondamentale per Philly e per il ragazzo. Da guardia Iverson divenne uno scorer implacabile capace di vincere per ben 3 anni la classifica marcatori dell’NBA con più di 30 punti di media. L’anno da ricordare per AI è stato senza dubbio il 2001.

Il titolo di MVP della regular season 2000/01

In quella stagione Iverson guidò Philly verso il miglior record della Eastern Conference in regular season e fu giustamente eletto MVP. I playoff nelle due stagioni precedenti non erano andati molto bene con due eliminazioni per mano degli Indiana Pacers nelle semifinali di Conference. Nel 2001 il destino mise proprio Indiana contro Philadelphia al primo turno e la vendetta fu servita. La gara 1 fu vinta incredibilmente dai Pacers di un punto con The Answer non molto in forma. Dalla second però il nativo di Hampton si scatena e ne segna 45-32-33 e batte Indiana in 4 partite.

Alle semifinali i Sixers affrontano i Raptors di Vince Carter e Iverson gioca magnificamente (ne mette 54 in gara 2 e 52 in gara 5). Si arriva a gara 7 e Philly vincerà di un punto con un tiro all’ultimo secondo sbagliato proprio da Vinsanity (a differenza di quello capitato a Kawhi lo scorso anno). In finale di Conference i Sixers affrontano Milwaukee, seconda migliore squadra ad Est. La serie è combattuta e lunga con Iverson non al meglio per un infortunio. Tuttavia AI sarà decisivo in gara 7 con ben 44 punti messi a segno.

Le Finals 2001 e “Step Over”

Gli highlights di AI in gara 1 delle Finals 2001

Philadelphia approda finalmente alle Finals ma dall’altro lato ci sono i Los Angeles Lakers perfetti di Kobe Bryant, Shaquille O’Neal e Phil Jackson. I gialloviola hanno fatto tre sweep consecutivi e sono pronti al quarto per il titolo back to back. Si arriva a gara 1 e succede una delle scene e delle prestazioni più esaltanti della storia NBA. Iverson annichilisce i Lakers con 48 punti e porta a casa la vittoria per i Sixers. L’icona però è racchiusa in un’azione: il cosiddetto “Step Over”.

Iverson gioca un 1 vs 1 contro Tyronn Lue, AI fa una finta, il giocatore dei Lakers abbocca e poi con un fade away in step back The Answer segna. Lue per stoppare cade davanti a Iverson e il numero 3 lo scavalca senza batter ciglio. La scena iconica è stata interpretata come un gesto di superiorità, un cosiddetto “statement” nel mondo NBA. La serie si concluderà dopo 5 gare con la vittoria dei Lakers per 4-1 grazie ad una squadra molto più forte ma Iverson chiuse le Finals con più di 30 punti per partita.

Lo”Step Over”

“We talkin’ about practice”

Nelle stagioni successive non sono calate le prestazioni di AI ma qualcosa si è iniziato ad incrinare con i media e lo sfogo del maggio 2002 è rimasta nella memoria di tutti. La conferenza stampa post sconfitta contro i Boston Celtics divenne memorabile per le oltre 20 volte in cui il giocatore di Philadelphia dice la parola practice, allenamento in inglese. Nel 2006/2007 Iverson e Philadelphia si separano per visioni differenti. AI voleva essere protagonista mentre Philly voleva rifondare e venne scambiato a Denver. In Colorado The Answer gioca le ultime stagioni ad alto livello prima di alcune brutte esperienze con Detroit e Memphis. Nel 2013 dopo un’ultima esperienza in Europa al Besiktas decide di ritirarsi dal basket anche per gravi problemi alle ginocchia.

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Per concludere, Allen Iverson è stato quindi la risposta per la rivoluzione per un mondo NBA  troppo formale. AI è stato la contraddizione che il basket USA aspettava e che ha rivoluzionato il gioco con la palla a spicchi dopo l’era Jordan. L’uomo con le treccine e i tatuaggi che sembrava un criminale ha raccolto troppo poco ma è rimasto per sempre nel cuore degli appassionati di NBA.

Di Giuseppe Capizzi

Sono un 30enne napoletano con la passione per lo sport. Seguo tutte le principali competizioni sportive ma in particolare sono malato di calcio e NBA. Amo viaggiare e credo che l'esperienza formativa più grande sia stata visitare New York.

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