Nuova puntata della rubrica dedicata ai campioni dell’NBA. Oggi tocca a Bill Russell, l’uomo degli 11 titoli con i Boston Celtics

Generation Sport presenta NBA Tales, una rubrica sulle storie dei protagonisti del basket. Ci sarà una storia legata ad ognuna delle 30 franchigie NBA più 10 racconti “fuori categoria” per colmare il vuoto causato dal Covid-19. Il protagonista di questa puntata sarà Bill Russell, una vita dedicata alla lotta al razzismo e ai Boston Celtics.

Essere Bill Russell

In questo momento storico, con le grandi proteste accadute negli Stati Uniti in questi giorni, dopo la morte di George Floyd, non potevamo esimerci dal raccontare una delle carriere più dedite alla lotta al razzismo. Bill Russell è stato fra i primi a combattere una piaga sociale mondiale e lo ha fatto in un momento dove non c’erano in soccorso social network o solidarietà. Bill lo ha fatto da solo, rischiando linciaggi e raccogliendo antipatie di molti negli anni 60. Russell è stato il più grande sportivo di sempre per vittorie, ha condotto una delle dinastie più floride dello sport USA con 11 titoli in 13 anni eppure non ha mai visto il suo palazzetto pieno in carriera. I Boston Celtics erano considerati la vergogna della città perché guidati da un afroamericano, un nero che parlava troppo di diritti.

Bill Russell (Photo by Ronald Martinez/Getty Images)

Genesi di una leggenda

William Felton “Bill” Russell nasce a West Monroe in Louisiana nel 1934 ma, allo scoppio della seconda guerra mondiale, il padre Charles decide per motivi lavorativi di spostare la famiglia ad Oakland in California. La scelta è dettata anche dalla minore tensione razziale californiana rispetto agli stati del sud dove spesso gli afroamericani subivano soprusi, umiliazioni, ingiustizie anche oltre i limiti del tollerabile. Nel ’46 Bill vede la madre morire di una malattia fulminante ma grazie all’impegno del padre, il ragazzo riesce ad approdare al college.

Bill aveva sempre mostrato grandi doti atletiche e grandi mani ma, fino all’incontro con il coach George Powles, l’assenza di fondamentali e di comprensione degli schemi lo aveva tagliato spesso fuori dalle squadre scolastiche di basket. Powles fece capire al ragazzo come sfruttare tutta la sua forza atletica e lo trasformò nel giocatore intelligente e leader che poi vedremo negli anni a venire. Questa crescita portò poi Bill alla conquista di due titoli con la McClymonds High School da protagonista.

Dal college alla medaglia olimpica

Un giovane Bill Russell

Nonostante le belle parole che venivano spese per il Russell giocatore, arrivò solo una lettera di ammissione al college: quella della University of San Francisco. Forse il colore della pelle, forse il lavoro di scouting ancora acerbo, fatto sta che il potenziale di Bill passò inosservato. Soprattutto il suo lavoro difensivo e quel fondamentale della stoppata che gli esperti attribuiscono l’invenzione allo stesso Russell. La carriera al college si mostrò subito scintillante con due titoli NCAA con i Dons nel 1955 e 1956. I San Francisco Dons furono la prima squadra delle università a presentare tre giocatori di colore nel quintetto (Russell, K.C. Jones e Hall Perry). Bill collezionò medie di oltre 20 punti e 20 rimbalzi a partita grazie anche alla sua elevazione e ai suoi 2 metri e 08.

La squadra della USF non ebbe grande risalto negli States in quegli anni nonostante ogni partita corrispondesse ad una vittoria. Spesso in trasferta venivano pesantemente fischiati per le loro “aperture” agli afroamericani. Capitò addirittura che, durante una trasferta ad Oklahoma City, un albergo rifiutò di concedere gli alloggi ai giocatori di colore, notizie di normale amministrazione all’epoca. Nell’estate del ’56 arrivò poi la medaglia olimpica da capitano a Melbourne. Bill aveva voluto fortemente la rassegna australiana tanto da rinviare di un anno l’ingresso in NBA. Un torneo vinto talmente in scioltezza con il picco nella semifinale contro l’Uruguay vinta 101-38.

11 titolo in 13 anni: la Dinastia di Boston

Bill Russell e Red Auerbach. (AP Photo/File)

Arriva il Draft ’56 e Russell viene scelto alla numero 2 dai St. Louis Hawks per la quale però non giocherà mai. L’allenatore dei Boston Celtics Red Auerbach, voglioso di un grande difensore, decise di scambiare Macauley e Hagan in cambio di Bill. Con la scelta numero 13 i Celtics pescarono KC Jones, compagno di Russell a USF, e nel Territorial Draft presero Tom Heinsohn formando le basi della Dinastia. Da qui nacque un sodalizio Russell-Boston che porterà a ben 11 titoli NBA in 13 anni, di cui 8 consecutivi. Fu il protagonista in campo di ognuno di quei titoli e negli ultimi due anche da allenatore.

Solo i St. Louis Hawks (si, proprio la squadra di Macauley e Hagan) nel 1958 e i Philadelphia 76ers di Wilt Chamberlain nel 1967 riusciranno a strappare il titolo ai verdi. Bill fu il primo a vincere il cosiddetto back-to-back NCAA-NBA, ovvero a vincere in due anni consecutivi i due titoli. Al suo fianco sono transitate leggende come Bob Cousy, Tom Heinsohn, K.C. Jones, Bill Sharman, Jim Loscutoff, Satch Sanders, Don Nelson, Sam Jones, John Havlicek, tutti grandissimi giocatori che hanno vinto tanti titoli assieme a Russell, ma mai nessuno è stato come lui.

Bill è stato probabilmente il giocatore che ha cambiato l’NBA da un gioco prettamente offensivo a quello delle due fasi che è adesso. Ha vinto 5 MVP della regular season e ha inciso fortemente nei playoff, non vincendo però mai l’MVP della Finals poiché il premio fu istituito solo nel 1969 (vinto da Jerry West). Creò la prima vera dualità con Wilt Chamberlain negli anni 60, proponendo grandi sfide e quasi sempre trionfando alle finali. Nonostante tutto questo la leggenda di Bill Russell ha trovato consacrazione solo nel nuovo millennio rivelando la natura razzista di una città come Boston. 11 titoli, una star da ammirare ma il palazzetto è semi vuoto. Un’assurdità se si pensa ad adesso. Bruins e Red Sox raccoglievano i sold-out, i Celtics erano quelli strani.

Il difficile rapporto con la Boston degli anni 60

I Celtics erano l’opposto del tessuto sociale bostoniano: furono i primi a scegliere e far debuttare un giocatore afroamericano in NBA, furono i primi ad avere un coach afroamericano e un quintetto tutto formato da afroamericani. Dei passi in avanti che verranno considerati pietre miliari solo tanti anni dopo e pesantemente criticati a quei tempi. Come si può pensare di odiare una squadra che ha creato la più grande dinastia dello sport americano? Semplice se sei razzista e il leader della squadra è un nero che parla di diritti.

Bill era colto, era un uomo che non si piegava, un uomo che si batteva e di certo non era un uomo espansivo. Spesso rifiutava gli autografi, era schivo, sembrava essere arrogante ma era tutt’altro. Lui non si sentiva meglio degli altri solo perché era bravo a basket, si sentiva esattamente come tutti ma quei tutti lo consideravano meno solo per il suo colore della pelle.

Era un uomo umile e lo fece capire l’episodio del 28 agosto del 1963. Quel giorno è rimasto alla storia per la Marcia per il Lavoro e la Libertà a Washington di Martin Luther King e il famoso discorso con “I have a Dream”. Russell si trovava lì e come raccontò nel 2013 risiedeva nello stesso hotel di King. Nella hall l’attivista e il suo staff chiesero a Bill se volesse salire sul palco insieme a lui ma il campione rifiutò. Bill non voleva togliere attenzione al discorso del politico e anzi chiese un posto in prima fila per poterne assistere. Così come fu in prima fila al funerale dello stesso Martin Luther King assassinato ad Atlanta 5 anni dopo.

Una vita dedicata a combattere il razzismo

Bill Russell al fianco di Muhammad Ali

Sarà presente al fianco di Muhammad Ali quando a quest’ultimo verrà tolta la cintura di campione del mondo perché aveva rifiutato la chiamata alle armi in Vietnam. Era un uomo che ci metteva la faccia in tempi non facili, dove non arrivava solidarietà sui social, dove eri additato, dove l’essere nero e parlare di diritti sembrava essere una follia. Erano tempi dove rischiavi di essere picchiato mentre passeggiavi per la strada solo per la tua carnagione. E Russell ha pagato un grosso prezzo per questo suo attivismo.

Bill è stato infatti sorvegliato dall’FBI e classificato come “Arrogant Negro”, o peggio è stato vittima di vandalismo presso la sua abitazione con scritte razziste e feci sopra il suo letto. Tuttavia il campione dei Celtics sarà riconosciuto come uno dei più grandi attivisti dei diritti degli afroamericani e questo, per lo spirito di Bill Russell, avrà sicuramente ricompensato tutti i soprusi. Anche il presidente Obama nel 2011 lo insignirà della massima onorificenza statunitense, riconoscendo i grandi sforzi fatti dall’ex Celtics.

Concludendo, Bill Russell è stato sicuramente uno dei più grandi interpreti del basket NBA ma prima di tutto è stato uno dei pionieri della lotta al razzismo. È stato un innovatore del gioco e della lotta per i diritti civili. Un uomo dalle due facce che non ha mai piegato la testa, tantomeno si è inginocchiato a quella supremazia bianca che l’America degli anni ’50/’60 voleva imporre. E pensando a quello che sta succedendo ora sul territorio USA, possiamo sicuramente credere che Bill sia dalla parti di chi sta protestando. Bill Russell sarà sicuramente dalla parte di George Floyd.

Di Giuseppe Capizzi

Sono un 30enne napoletano con la passione per lo sport. Seguo tutte le principali competizioni sportive ma in particolare sono malato di calcio e NBA. Amo viaggiare e credo che l'esperienza formativa più grande sia stata visitare New York.

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