Puntata speciale della rubrica NBA Tales. Oggi vi raccontiamo le storie del Draft NBA: lì dove sono passati i grandi di questo sport

Generation Sport presenta NBA Tales, una rubrica sulle storie dei protagonisti del basket. Torniamo dopo una lunga pausa dovuta alla stagione regolare conclusasi con la vittoria dei Lakers e lo facciamo raccontandovi le tante storie che hanno riguardato il Draft NBA. Dal significato di questa usanza degli sport targati USA, ai grandi campioni usciti, ai cosiddetti Steals of the Draft fino alle scelte che hanno coinvolto gli italiani. Innanzitutto cos’è il Draft?

DRAFT: cos’è e come funziona

Il Draft è uno strumento molto importante e imparziale che è introdotto in tutte le Major League in USA (NBA, NFL, NHL, MBL, MLS, ecc.). Un’usanza radicata negli sport made in America e fondamentale per il sostentamento delle leghe. Questo strumento permette ogni anno alle trenta franchigie, nel caso NBA, di poter scegliere i migliori giovani provenienti dal panorama dei college e dai paesi esteri. Fino al 2006 era possibile scegliere anche giocatori dalle high school (qualora si fossero dichiarati eleggibili), ormai da 14 anni la Lega ha deciso che ogni cestista dovrà almeno frequentare per un anno il college.

L’NBA Draft è formato da due round di 30 scelte per un totale di 60 giocatori scelti ogni anno. Il primo turno è diviso dalle prime 14 scelte che vanno alle 14 franchigie che non si sono qualificate ai playoff l’anno precedente, una Lottery decide il suo ordine. Gli altri 16 posti vanno alle 16 squadre che hanno preso parte ai playoff e le posizioni sono assegnate in modo crescente a seconda del record di Regular Season. Ad esempio la squadra che ha totalizzato più vittorie in RS pescherà al 30esimo posto, la seconda per vittorie al 29esimo e così via.

La NBA Lottery invece è una vera e propria lotteria con delle palline al suo interno che sceglie in modo casuale l’ordine delle prime 14. Tuttavia c’è una possibilità maggiore per le ultime tre squadre per record in RS di pescare la prima scelta, possibilità sempre minore man mano che il record della franchigia aumenta. In particolare le prime tre avranno il 14% di possibilità, la quarta il 12,5%, la quinta il 10,5% e così via fino alla quattordicesima che avrà solo lo 0,5% di possibilità. Formato l’ordine del Draft nel primo turno, viene replicato ugualmente nel secondo turno ma c’è un però.

Le franchigie hanno la possibilità di poter scambiare le proprie scelte, anche prima del Draft Day, per arrivare a giocatori già affermati. Durante la serata del Draft c’è anche il fenomeno del cosiddetto trade-down ovvero scambiare la propria scelta con una più bassa per conservare cap salariale, per una somma in denaro o per pura strategia. Chi sceglierà di rifondare cercherà di accaparrarsi più scelte possibili mentre chi ritiene di avere un roster già competitivo o vuole arrivare ad un big in free agency scambierà le proprie scelte. La struttura finale del Draft non sarà quindi come viene scelta inizialmente ma andrà incontro a dei cambiamenti spesso decisivi per le sorti delle franchigie. 

I MIGLIORI DRAFT DI SEMPRE

Essendo un appuntamento annuale, il Draft può regalare classi spettacolari, altre di talento medio ed alcune non memorabili. Più o meno ogni generazione (dagli ’80 in poi) ha avuto una classe Draft di riferimento dove il livello medio era altissimo e ha sfornato (o sfornerà) leggende di questo sport. Sicuramente i Draft 1984, 1996 e 2003 sono quelli che indichiamo come migliori in termini di talento e fra poco vi diremo perché.

Dobbiamo però prima menzionare i Draft del 1960 che ci ha regalato Oscar Robertson e Jerry West, quello del 1985 con Karl Malone, Patrick Ewing, Charles Oakley e Joe Dumars; e due anni dopo un altro grande draft con protagonisti Scottie Pippen, David Robinson, Reggie Miller e Horace Grant. Negli anni ’90 è notevole l’annata 1998 con Dirk Nowitzki, Paul Pierce e Vince Carter; mentre negli anni 2000 le annate 2009 (James Harden, Steph Curry, Blake Griffin e DeMar DeRozan) e 2012 (Anthony Davis, Bradley Beal, Damian Lillard e Draymond Green). I Draft ’69,’78 e ’79sono stati abbastanza scarni ma ci hanno regalato rispettivamente Kareem Abdul-Jabbar, Larry Bird e Magic Johnson.

Scottie Pippen venne scelto dai Seattle Supersonics ma venne scambiato ai Chicago Bulls per Olden Polynice

1984

Iniziamo in ordine cronologico a spiegarvi il perché abbiamo scelto i tre Draft sopra citati. L’ NBA Draft 1984 è per molti la miglior classe di sempre. Micheal Jordan è sicuramente il diamante e copertina di quel Draft ma non finisce di certo qui. Ci sono altri tre Hall of Famer come Hakeem Olajuwon, Charles Barkley e John Stockton e tre All-Star come Alvin Robertson, Otis Thorpe e Kevin Willis.

Combinando le carriere di MJ, Olajuwon, Barkley e Stockton ci sono 47 partecipazioni all’All-Star Game, 45 quintetti All-NBA, 23 quintetti difensivi, 10 titoli per punti, 9 per assist, 5 per palle rubate, 3 per rimbalzi, 3 per stoppate, 8 campionati NBA e 7 titoli di MVP. I numeri quindi incoronano questa classe come una delle migliori (se non la migliore) ma non dicono tutto. His Airness ha infatti segnato l’NBA e l’ha portata al suo splendore attuale, Stockton è stato forse l’assist-man più incredibile di sempre, Hakeem e Barkley sono delle vere e proprie icone per tutti gli appassionati.

1996

Il 1996 ha regalato invece la generazione di cestisti che dominerà l’NBA dal dopo Jordan. La stella di quel gruppo di giocatori è stato sicuramente Kobe Bryant, scelto alla 13esima dai Charlotte Hornets ma scambiato per Divac ai Los Angeles Lakers. Il giovane ragazzo di Philadelphia diventerà Black Mamba e uno dei giocatori più forti di sempre con i gialloviola di LA. Bryant sarà poi capace di vincere 5 titoli NBA, un MVP della RS e due MVP delle Finals. Alla prima scelta quell’anno invece i Philadelphia 76ers scelsero Allen Iverson, “The Answer”, giocatore che rivoluzionò lo stile dell’NBA dentro e fuori dal campo. Il Draft 96 ha portato però altri due Hall of Famer: Ray Allen, uno dei più grandi tiratori da tre, e Steve Nash, playmaker straordinario. Lo stesso anno furono scelti anche gli All-Star Shareef Abdur-Rahim, Stephon Marbury, Antoine Walker, Pedrag Stojakovic, Jermaine O’Neal e Zydrunas Ilgauskas.

2003

Infine il Draft 2003 è sicuramente quello che ha segnato gli ultimi 15 anni di basket USA. La prima scelta dei Cleveland Cavaliers fu LeBron James, il Prescelto, The Chosen One. Il giocatore più completo di sempre che ha cambiato la storia di una franchigia eterna perdente e continua a dominare tutt’ora in canotta gialloviola. LeBron però non è l’unico colpo di quel Draft. Se la numero 2 dei Detroit Pistons con Darko Milicic è considerata uno dei più grandi bust di sempre, nelle successive tre scelte sono stati chiamati Carmelo Anthony, Chris Bosh e Dwyane Wade.

D-Wade è stato una delle guardie più letali degli ultimi anni e non solo, Bosh un centro dominante mentre Melo è riconosciuto come uno shooter incredibile. Wade, Bosh e James formeranno poi a Miami i cosiddetti Big Three, il primo esempio di Super Team. Oltre a questi futuri Hall of Famer nello stesso Draft furono chiamati anche giocatori importanti come David West, Kyle Korver, Boris Diaw e Kirk Hinrich.

Non si può di certo inserire la classe Draft del 2019 fra quelle di maggior talento visto che si tratta di un solo anno giocato e per di più in condizioni particolari. Tuttavia il clamore generato, e il poco visto, ci fa mettere un asterisco su questa generazione. Zion Williamson è stato acclamato come il nuovo dominatore della Lega, hype che non si vedeva dall’arrivo di LeBron. Ja Morant si è dimostrato fra i giocatori più pronti e promettenti già al suo primo anno, Tyler Herro ha fatto vedere una leadership e un attitudine pazzesca arrivando fino alle Finals con Miami. Siamo perciò fiduciosi che possa essere l’annata di riferimento per il nuovo gruppo di giocatori che dominerà l’NBA negli anni a venire.

STEALS OF DRAFT: quando l’intelligenza fa la differenza

Parker e Ginobili: due steals che hanno vinto il titolo a San Antonio

Avere una buona pick al Draft può essere un arma a doppio taglio. Puoi trovare il giocatore che cambia la storia della franchigia (chiedere a Chicago e Cleveland) oppure essere ricordato come uno dei più grandi bust (fallimento) della storia (chiedere invece ai signori Sam Bowie, Darko Milicic, Micheal Olowokandi, Greg Odeon, Kwame Brown e Anthony Bennett). Per chi invece non ha questa possibilità, l’unica alternativa rimane lo scouting e la lungimiranza di trovare un giocatore forte e funzionale anche con una scelta più tardiva, la cosiddetta Steal of Draft.

Sono 6 quelle più clamorose della storia e tre di queste sono arrivate dal Texas, dalle parti di San Antonio. L’ambiente Spurs deve avere parecchio fiuto per gli affari low cost e soprattutto con il materiale proveniente dall’Europa. L’argentino Manu Ginobili, preso alla 57esima scelta del Draft 1999 da Reggio, e il francese Tony Parker, 27esima scelta al Draft 2001, sono state due intuizioni che hanno modificato le sorti degli speroni. Loro due insieme all’eterno Tim Duncan e il coach Gregg Popovich hanno creato una dinastia capace di durare fino a poco tempo fa. Due giocatori che per molti non avevano futuro e invece hanno calcato per 20 anni i parquet degli USA.

L’altra grande steals dei San Antonio Spurs è stata George Gervin, realizzatore incredibile, pescato alla 40esima scelta del Draft del 1974. Gervin non ha portato trofei in Texas (4 titoli di miglior realizzatore NBA per lui) ma nei 39 prima di lui in quel Draft solo Bill Walton è rimasto nella storia.

Una delle steal più clamorose al Draft è stato sicuramente Dennis Rodman. The Worm venne chiamato solo alla 27esima scelta dai Detroit Pistons, complice le poche informazioni sul ragazzo, più volte senzatetto negli anni precedenti. Rodman era il pezzo perfetto per completare i cosiddetti Bad Boys vista la sua ossessione e capacità per i rimbalzi. Un giocatore capace di raccogliere a fine carriera 5 anelli NBA, 2 Defensive Player Of The Year e ovviamente la nomina nella Hall of Fame.

Rodman a Detroit

Storia diversa invece è quella della 60esima scelta dei Portland Trail Blazers al Draft 1986 Drazen Petrovic. Un giocatore che aveva dominato in Europa e aveva deciso di fare il salto in NBA ma era stato snobbato da tutti anche da gli stessi che lo aveva chiamato. Portland infatti aveva già Drexler nel ruolo di guardia e lo spazio per il serbo era minimo. Petrovic dovrà spostarsi in New Jersey per dimostrare tutto il suo immenso valore da realizzatore mortifero prima che un incidente stradale ce lo porti via nel giugno del 1993.

Ultima steal, molto più recente ma non meno importante, è quella di Draymond Green pescato alla 35esima dai Golden State Warriors. Giocatore controverso per atteggiamento ma pezzo fondamentale per costruire la dinastia dei Warriors di Kerr. Green è l’anima della franchigia di Oakland, un giocatore dal QI cestistico superiore, capace di elevare emotivamente i compagni. Tutto questo coronato già da tre titoli NBA, una stagione regolare da 73 vittorie e una carriera ancora a disposizione.

ITALIANS DO IT BETTER: dai pionieri ai giorni d’oggi

Vogliamo chiudere questo approfondimento con un occhio particolare verso gli italiani che hanno fatto il grande passo. Il basket europeo è stato sempre visto con diffidenza dagli addetti ai lavori in NBA e solo negli ultimi 20 anni hanno iniziato ad aprirsi maggiormente. Attualmente nella Lega sono presenti 3 italiani e altri 2 hanno calcato i parquet negli ultimi 10 anni. Di questi 5 però solo 3 sono passati per il meccanismo del Draft mentre Datome e Melli hanno accettato dei contratti da undrafted. I pionieri tricolore però sono sostanzialmente tre: Dino Meneghin, Augusto Binelli e Stefano Rusconi.

Meneghin in maglia Varese

Meneghin è stato uno dei più forti giocatori di basket azzurro e il primo italiano ad essere stato scelto in NBA. Bisogna andare indietro al Draft del 1970, alla scelta 182 gli Atanta Hawks selezionano il cestista italiano. Meneghin però in NBA non ci metterà mai piede e non certo per scelta sua. Sia gli Hawks che l’NBA non riescono a contattare il giocatore in Italia e Dino non potrà giocare vicino a Pistol Pete Maravich, selezionato lo stesso anno dagli Hawks con la quarta scelta. Stessa sorte e stessa squadra, Atlanta, accomunano il secondo scelto al Draft (1986) Augusto Binelli. Il cestista di Carrara rifiuterà però il contratto a causa delle regola FIBA che vietavano ai professionisti di poter indossare la maglia della Nazionale (in Italia il basket all’epoca era dilettantistico).

Il primo giocatore a calcare i parquet NBA da draftato sarà Stefano Rusconi. I Cleveland Cavaliers scelsero il centro di Bassano del Grappa alla 52esima del Draft 1990. Tuttavia i suoi diritti furono subito scambiati con quelli di Milos Babic ai Phoenix Suns. Il giocatore deciderà però di restare in Italia per altre 5 stagioni prima di fare il grande salto e approdare in Arizona. La sua permanenza è stata purtroppo breve e di certo non memorabile: giocherà solo 7 partite, 30 minuti in totale segnando 8 punti. Rusconi rimarrà però nella mente di tanti appassionati dei Suns e del gruppo squadra dell’epoca (Charles Barkley in particolare).

Passiamo ora ai tre più recenti che hanno segnato l’epoca azzurra de “i 3 NBA”. Il primo e più clamoroso è sicuramente Andrea Bargnani. Il Mago è stato il primo giocatore europeo ad essere scelto alla numero 1 in un Draft, quello del 2006 dai Toronto Raptors. Bargnani trascorrerà 10 stagioni in NBA con le maglie dei Raptors, dei New York Knicks e dei Brooklyn Nets senza però raccogliere quanto sperato. L’unico riconoscimento ricevuto è quello dell’inserimento nel quintetto Rookie al suo primo anno nella Lega.

L’anno successivo al Mago farà il suo ingresso in NBA Marco Belinelli. Il Beli venne scelto dai Golden State Warriors alla diciottesima del Draft 2007 ma la tappa californiana non sarà l’unica. La consacrazione di Marco arriva in Texas, ai San Antonio Spurs, dove ricopre un ruolo importante nelle rotazioni di Gregg Popovich. Belinelli si esprime al meglio e raggiunge due traguardi storici per lo sport azzurro. Diventa il primo italiano a vincere la gara da tre punti dell’All-Star Game nel 2014 ma soprattutto il 15 giugno 2014 vince il titolo NBA con gli Spurs. È il primo e finora unico italiano a riuscirci e lo fa da comprimario ma con grandi meriti nella serie di Finals.

L’ultimo italiano ad essere stato draftato è Danilo Gallinari. Il Gallo entra di forza in NBA con la sesta scelta dei New York Knicks del Draft 2008. Nella Grande Mela però Gallinari non riesce ad esprimersi al meglio tuttavia il suo percorso in NBA va crescendo di stagione in stagione. Il Gallo è considerato da molti il più forte dei giocatori italiani che hanno calcato i campi NBA. Questo status se l’è guadagnato soprattutto nelle stagioni con Denver, LA Clippers e Oklahoma City. Non a caso il Gallo è uno tra i free agent più ambiti della sessione di mercato alle porte.

In prospettiva sono però altri due gli italiani pronti a fare il loro ingresso in NBA: Nico Mannion e Paolo Banchero. Mannion è uno dei prospetti più interessanti del Draft 2020 e si vocifera possa essere scelto al primo turno. Mannion è nato a Siena da padre americano e madre italiana ma ha scelto la nazionalità tricolore. Tuttavia la sua formazione è stata tutta a stelle e strisce avendo frequentato sia la high-school che il college in Arizona. Banchero invece è nato sul suolo americano a Seattle da padre italiano e madre statunitense, ex giocatrice WNBA. Paolo è diventato da poco cittadino italiano a tutti gli effetti ed è considerato una delle prime 5 scelte del Draft 2022. Il futuro della nazionale e del basket azzurro sembra in buone mani con altri due ragazzi giovani nel panorama NBA.

Nico Mannion con la maglia della nazionale

Abbiamo fatto un lungo excursus sul fenomeno Draft ma, prima di lasciarvi, dobbiamo dirvi che significato assume a livello culturale il Draft Nba. È il punto di riferimento per tanti ragazzi che iniziano a giocare a basket nei campetti sotto casa. Rappresenta il sogno, la motivazione per impegno e sacrificio. Rappresenta l’avercela fatta soprattutto per i tanti ragazzi che arrivano da quartieri difficili nei sobborghi delle città degli States. Inoltre rappresenta l’inizio della sfida per i tanti europei che si vogliono cimentare nello step successivo dopo aver impressionato in Eurolega. Il Draft è un obiettivo che non tutti riescono a raggiungere ma un punto di partenza delle carriere di chi c’è l’ha fatta. E pensiamo che il significato più profondo del Draft sia proprio questo: dove i sogni diventano realtà!

Di Giuseppe Capizzi

Sono un 30enne napoletano con la passione per lo sport. Seguo tutte le principali competizioni sportive ma in particolare sono malato di calcio e NBA. Amo viaggiare e credo che l'esperienza formativa più grande sia stata visitare New York.

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